Il segreto di Zia Caterina



Caterina Bellandi, per tutti zia Caterina, è stata nominata dal presidente Mattarella Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. Un’onoreficenza che riceverà al Quirinale il prossimo 24 marzo.
In questa occasione ho sentito il bisogno di scrivere su questa colorata tassista che da una vita si dedica a un servizio unico: stare vicina ai bambini malati oncologici, nei loro viaggi in taxi in ospedale e non solo…Perchè, e questo è il motivo dello scritto, la relazione tra Caterina e i suoi ‘supereroi’ è molto di più…


Secondo me è stato uno dei suoi piccoli supereroi. Uno di quelli che è in terra, che è riuscito a eludere tutta la sorveglianza, a saltare sulle ginocchia di Nonno Sergio e a raccontargli tutto.
O uno di quelli che è in cielo, che si è reso presente in un modo misterioso, ottenendo lo stesso effetto: far aprire al ‘Presidente di tutti’ quel voluminoso registro, per scrivere il suo nome.
Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica.

Sì, deve essere andata così. E’ molto probabile che tutto sia avvenuto molto rapidamente. Non perché non ci fosse molto da dire, ma perché ciò che contava era concentrato in poche parole: . “Zia Caterina è un’amica. E ci vuol bene”.

Negli articoli su zia Caterina si indugia molto, giustamente, su ciò che ‘fa’, e risalta invece poco ciò che ‘è’ per quei bambini che vivono la prova durissima della malattia oncologica.
Un’amica. Semplicemente. Enormemente.

Caterina non è amica di quei bambini solo perché assomiglia a Mary Poppins e ha un taxi variopinto.
Certo, questi strumenti aiutano. Il vestito è un ponte di contatto, un soffio di fantasia e di follia che scompiglia quella realtà che la malattia rende adulta di colpo, per costringerla a ritornare bambina.
Il taxi è un deposito di ossigeno colorato dove si torna a respirare senza ansia, dove ci si prepara a giocare una partita diversa da quella, durissima, che si disputerà sul letto di un’ospedale: star bene lì aiuterà a vincerla là.

Ma tutto questo non basta a raccontare zia Caterina. E non è certamente questo ciò che i supereroi, così lei li chiama, hanno sussurrato all’orecchio attento del Presidente.
Nel segreto che unisce zia Caterina ai bambini c’entra molto la storia di lei, prima ancora che la malattia di loro. C’entra molto Stefano, che lei amava e continua ad amare.
Quell’amore entrato troppo presto nella spirale della malattia e della morte, ha aperto un vuoto così incolmabile in lei che da provare a riempirsi solo cercando altro amore.
Caterina offre il suo vuoto, lo mostra ai bambini senza maschere: “Io non li aiuto, chiedo a loro di aiutare me” dice, ed è questo incontro di fragilità che crea una meravigliosa alchimia.

Caterina cambia la prospettiva: non apre la mano per offrire, ma per chiedere. I bambini sentono di poter giocare alla pari con lei, di poter mescolare il loro sentire con il suo, sentono non solo di poter trovare una spalla cui appoggiarsi, ma anche di poter offrire fieramente la loro.
E da questo gioco di relazioni sovvertite, inattese, imprevedibili sgorga un flusso d’amore inesauribile.

Caterina li porta col suo taxi all’ingresso dell’ospedale ma, a corsa completata, non scende dalle loro vite. Intesse con loro un dialogo costante, intimo, profondo, accompagna loro e le loro famiglie sul terreno continuamente scosceso delle loro battaglie, nel bilico costante delle attese per un esame, o delle ansie, per un intervento, abita con loro sul crinale senza respiro della paura e della speranza.
Non fa tutto bene, perché è umana, perché ha i suoi limiti, perché è un po’ ‘matta’ come dice lei, perché le relazioni umane sono tortuose, e in quelle situazioni ancora di più: ma ci mette sempre il cuore. E al cuore lei obbedisce sempre.

Caterina non circoscrive mai il terreno della sua vicinanza: li va a trovare a domicilio per un compleanno o per un’altra ricorrenza, che abitino in Piemonte o in Sicilia; offre tutto il sostegno possibile alle loro famiglie quando arrivano in Toscana per una terapia.
Cerca soprattutto di essere presente in tutti quegli interstizi di bellezza e di gioia che vanno cercati e celebrati ancora di più quando la vita è così sospesa, quando è così, ingiustamente, in pericolo.

I supereroi di zia Caterina hanno un nome che non diventa mai un servizio, l’appendice di una buona azione: il loro nome è una scritta indelebile nella sua vita, è un soffio di energia buona in quello stato di perenne inquietudine che pure è il giacimento della sua energia.
Perché Caterina non si stanca mai. È sempre in viaggio, le relazioni con i suoi bambini sono il suo navigatore satellitare, la sua direzione di marcia. Sono, semplicemente, la sua vita.

“Caro Nonno Sergio – così devono aver detto i supereroi – ci faccia fare questo regalo alla Zia.
Trovi un modo, uno di quelli che avete voi adulti, di farla sentire speciale. Per noi lo è già”.

24 marzo, Provo a immaginare la Zia Mary Poppins nella solennità di quei saloni, al Quirinale. Già la vedo con le lacrime di emozione che invadono il trucco.
Non si diventa diversi per un’onorificenza. L’onorificenza serve a condividere con altre persone ciò che si è già.
Caterina è un bellissimo, fragilissimo, concentrato d’amore.
Lo sapevamo già. Ora è Ufficiale.

Complimenti zia. Ti voglio bene.

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Semplicemente grazie: domenica 12 un incontro a Romena per i 10 anni di Papa Francesco

I

Il 13 marzo del 2013 si alzò un vento nuovo, coinvolgente, inatteso. Era sorprendente e emozionante accorgersi che quel vento si alzava dalla Piazza del Vaticano.
10 anni fa arrivò il giorno in cui un Papa scelse il nome di Francesco e chinò la testa davanti al mondo chiedendo umilmente di pregare per lui.
Una cara amica nei giorni successivi cominciò a collezionare e raccontare ogni giorno i gesti irrituali del Papa, le novità che portava, gli scarti col passato. Poi smise non perchè le mancava la materia prima, ma per l’esatto contrario. Era sopraffatta.

“Semplicemente grazie”. Lo abbiamo già detto una volta, in occasione dei cinque anni di Pontificato. Allora dedicammo a Francesco una pubblicazione in cui quel grazie veniva ripetuto e motivato da uomini di fede e non, da scrittori, giornalisti, teologi di varie estrazioni.
“Semplicemente grazie” ripetiamo oggi, in occasione dei 10 anni, con la stessa forza e con accresciuta riconoscenza. E questa volta abbiamo pensato di dedicare a Francesco un incontro cui parteciperanno alcuni grandi testimoni che lo conoscono molto da vicino.
L’appuntamento è per domenica 12 marzo, ore 15, nel nostro auditorium.
Nell’immediata vigilia del decennale parleremo di Francesco, dei cambiamenti di stile e di contenuto da lui introdotti, del ruolo che ha avuto e ha nel cammino dell’umanità in questi anni difficili con Marcelo Fugueroa, Paolo Ruffini e Annachiara Valle.

Marcelo Figueroa arriverà addirittura dall’Argentina per raccontare il Papa, di cui è amico personale da oltre venti anni. Scrittore, biblista, presbitero della Chiesa presbiteriana, è il primo protestante ad essere divenuto «firma» sull’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, di cui dirige l’edizione argentina.

Paolo Ruffini, giornalista, già direttore di Rai 3, di La 7, di Tv2000, è Prefetto per la Comunicazione della Santa Sede: la sua nomina, nel 2018, è stata una significativa novità voluta da Francesco che, per la prima volta, ha scelto un laico alla guida di un Dicastero.

Annachiara Valle, giornalista, vaticanista, ha seguito da vicino per Avvenire e poi per Famiglia cristiana il percorso del pontificato partecipando a tantgi viaggi di Francesco.

L’incontro sarà introdotto da don Luigi Verdi, E poi ci saremo tutti noi per trasmettere, ognuno a suo modo, un grazie corale al Papa che più sentiamo vicino.

“Lo stupore di esistere”: Romena ricorda Carlo Molari


“Dove ci condurrà la vita? Che importanza ha saperlo se sei certo che là dove ti conduce c’è un amore?” Un anno fa Carlo Molari ha potuto verificare di persona quello che aveva percepito come uomo di fede e come ricercatore dell’infinito. Ma “Il più grande teologo dei nostri giorni”, così lo ha definito Vito Mancuso, esaurito il suo cammino sulla terra a 94 anni, ha continuato e continua a stimolare pensieri, speranze, ansie di libertà. Il suo pensiero profetico continua a precederci, ad aprirci il cammino. Per questo abbiamo pensato di cogliere questa ricorrenza (Carlo è morto il 19 febbraio del 2022) per dedicargli un libro “Lo stupore di esistere” (Edizioni Romena), nel quale abbiamo raccolto gli interventi fatti da Carlo a Romena su tre grandi temi: “Lo stupore”, “L’amore” e “La fiducia”.
Il grande teologo si presenta con un linguaggio accessibile, adatto a ogni lettore, con il quale è possibile toccare con mano la vastità del suo pensiero. Un pensiero che viene anche meravigliosamente presentato da Vito Mancuso con un suo intervento letto davanti a Carlo Molari in occasione del suo novantesimo compleanno.
Quello che vi proponiamo è quindi di avventurarvi tra le parole di questo teologo speciale: è un’avventura che tocca le corde profonde della vita, che apre scenari inattesi, che riesce a raggiungere testa e cuore insieme.
Per iniziare con voi questo viaggio vi anticipiamo un breve passaggio del libro e il testo della prefazione che ho scritto provando a raccontare l’incontro di Romena con Carlo e i motivi per cui ha affascinato così tanto…
Buona lettura!

Prefazione “Lo stupore di esistere” di Massimo Orlandi

CARLO MOLARI E LO STUPORE DI ESISTERE

«Aver fede in Dio non significa sapere cosa è Dio perché noi non possiamo saperlo.
Aver fede in Dio vuol dire sapere che ciò che è in gioco nella nostra piccola storia è molto più grande di quello che siamo, perché contiene anche tutto quello che saremo.
Questo significa vivere la fede in Dio: non pretendere di sapere cosa è Dio.
E questa io credo sia la ragione più grande dello stupore, per cui ogni piccola novità
che emerge non suscita stupore per quello che è, ma per l’immenso di cui fa presagire l’esistenza.
Lo stupore, quindi, diventa l’attesa di quello che ancora non è stato conosciuto, non è stato amato, non è stato vissuto.
E questa è la forma più gioiosa dello stupore perché non ha confini, non ha il limite delle cose, non ha il limite della nostra conoscenza. Resta aperta all’infinito. Quando, nei momenti di contemplazione – e tutti ne dobbiamo avere perché contemplare significa aprire l’occhio oltre la superficie delle cose – non si vede nulla, ma si vede che il nulla è pieno di una presenza, si percepisce che c’è una forza più grande.
E affidarsi a questa forza è lo stupore più grande, è lo stupore della fede.

A Romena venerdì 6 gennaio per “Sperare insieme”

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È il primo appuntamento dell’anno. Un’occasione per iniziare il 2023 con le parole giuste e un accompagnamento di musica. Domani, venerdi 6 gennaio, ore 15, vi aspettiamo a Romena per “Sperare insieme”.
Doveva essere con noi, in questa occasione, Josè Tolentino Mendonca, ma il cardinale, amico di Romena, comprensibilmente non potrà lasciare il Vaticano in questi giorni così delicati.

Sarà direttamente don Luigi Verdi in una conversazione pubblica con me nel nostro auditorium ad aprire il nuovo anno con una riflessione e la presentazione del programma di Romena, che si intitola “Sperare insieme”.

Il nuovo anno si aprirà anche anche all’insegna della musica grazie ai Vallesanta Corde. La musica di Andreas Petermann (Violino), Fabio Roveri (Chitarra) e Renate Titze (Contrabasso), pescando in vari generi permetterà di vivere una atmosfera di festa e di gioia.
Al termine dell’incontro e del concerto, la messa.

Vi aspettiamo!

Grazie Christian, semplicemente grazie

La notizia della morte di Christian Bobin ci ha preso il fiato. Era uno scrittore che ci parlava al cuore,
che ci ispirava, che sapeva raccontare, con una originalità e una delicatezza unica, ogni sfumatura dell’esistere. Le prime parole che mi sono venute, per ricordarlo, hanno preso spontaneamente la forma di una lettera a un amico, un amico di Romena. Perchè così lo abbiamo sempre sentito.

Caro Christian,

quanto sei stato presente tra di noi senza averti mai incontrato!
Eri con noi tutte le volte che cercavamo spunti, idee, intuizioni per i nostri incontri.
Eri in tutte le nostre pubblicazioni, che fossero nuovi libri, testi di veglie, agende. A volte dovevamo limitarci perché le tue frasi provenivano da uno spazio di bellezza incomparabile al resto, ed era dura non selezionarle tutte.

Ti leggevamo con discontinuità perché i tuoi libri non tolleravano la presenza sovrabbondante del lettore; chiedevano di essere distillati con cura: era una delicatezza necessaria per poter cogliere ogni particolare.

Molti pensavano che fossi un amico o un frequentatore dei nostri spazi tanta era la frequenza con cui ti citavamo; fra Giorgio, in particolare, ti chiamava “il mio Bobin”. Lui, frate cappuccino, era rimasto incantato dal tuo libro su San Francesco e, da quel momento, ti aveva fatto entrare in ogni suo spazio di bellezza. Ieri, sono certo, era ai primi posti, nella fila di chi ti ha accolto nell’oltre.

Io ti avevo conosciuto attraverso un articolo della nostra Maria Teresa Abignente. Sono molto sensibile ai suoi consigli letterari, ma in questo caso ciò che mi aveva colpito era anche la tua storia: la storia di uno scrittore che vive tutta la sua città in una piccola città di provincia della Francia, Le Creusot, neanche apparentemente accattivante, e che trova ispirazione in ogni sfumatura del quotidiano, che sa leggere ogni dettaglio attraverso cui la vita, la vita vera, ci parla. Questa tua capacità unica di trasformare in meraviglia le sfumature di ogni istante l’avresti poi spiegata con una delle tue imperdibili frasi: “Alla nascita una fata si è chinata sulla mia culla dicendomi: ‘Assaporerai una parte minuscola di questa vita e in cambio la percepirai tutta’”.

Era bello anche cercarli, i tuoi libri. Non erano pubblicati dai colossi editoriali, ma da piccoli editori, quelli che ti avevano scelto perché che ti amavano di più. Penso a Giuseppe Conoci, che era partito dalla Puglia e si era presentato a casa tua per conoscerti di persona. Era stato così bello, naturale e pieno di entusiasmo quel gesto che “Anima mundi” la sua piccola casa editrice, era diventata lo spazio di diffusione di molti tuoi scritti in Italia.

Avremmo dovuto replicare il gesto di Giuseppe. Non era difficile trovarti, visto che non ti muovevi quasi mai dai tuoi spazi. Ci sarebbe voluto un azzardo e un pugno di giorni. Ci siamo invece fermati all’idea di farlo, appagandoci di una conoscenza vera come quella che comunque ci consentivi attraverso le tue parole.
Però ora ci manca uno sguardo, un sorriso, una piega del volto da affiancare alle tue parole.

Un anno fa, però, ci siamo sfiorati. “Gigi, Massimo, perché questo libro non lo facciamo insieme?” La proposta di Giuseppe Conoci, che ci è amico da tempo, era in realtà un regalo. La possibilità di unire la nostra realtà di Romena al tuo nome, insieme ad “Anima mundi”. Era un libro speciale, un’intervista che due giornalisti francesi ti avevano fatto sul tema della morte. Non perdemmo l’occasione. Ogni parola di quel libro, “Un azzurro che non mente più”, è come se oggi brillasse di una luce speciale.
Prendo solo alcune righe, quasi a caso: “La morte non prende che il tempo. È molto. Ma non prende che questo. Léon Bloy dice: “Morire è solo togliere la polvere che copriva un bel mobile.” La morte ci mette in una grande intimità con lei. Ma c’è una stanza segreta in noi, nella quale non sa entrare. Questa stanza arde di gesti, di sorrisi, di frasi che ci hanno abbagliato e ci hanno portato lontano da noi stessi, lontano dal mondo e da tutto. La morte non prende queste cose”.

Non c’è una pagina di questo libro in cui la morte non serva ad altro che a parlare di vita, non c’è più vita che in un tuo libro sulla morte. Questo sei tu Christian, questa è la tua magia vera del tuo scrivere.
“I i libri di Christian Bobin – ha scritto su di te la nostra Maria Teresa – appartengono ad una categoria a parte, dove la poesia si intreccia con la musica delle parole e dove la realtà attraverso lo scritto vola fino a raggiungere l’irraggiungibile”.

Tutto questo continua. Ora è nella stanza segreta di cui ci hai parlato. Continueremo a frequentarla sapendo che lì ci sei, e ci sarai sempre.
Ma permettici almeno di dirti una parola, una sola, quella che ci sarebbe piaciuto pronunciare bussando alla porta della tua casa in Borgogna.

Merci Christian, semplicemente grazie

Ti vogliamo bene.