“Quella sera del 13 marzo”

Rivivamo insieme una sera indimenticabile, quella del 13 marzo di 10 anni fa, la sera in cui venne eletto Papa Francesco, con le meravigliose parole di Angelo Casati, sacerdote e poeta.
Domenica prossima, 12 marzo, a Romena, in anticipo di un giorno, festeggeremo quell’evento. L’incontro (ore 15 in auditorium) dal titolo “Semplicemente grazie” avrà per protagonisti tre testimoni che lo conoscono molto bene: un amico argentino, Marcelo Figueroa, una vaticanista, Annachiara Valle, e il Prefetto del Dicastero della comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini.
Insieme racconteremo il vento nuovo che ha portato, in questi 10 anni il papa venuto ‘dalla fine del mondo’.

Apparve così, come lo sentiamo oggi, fin dalla prima sera.
Erano gesti semplici, i suoi, ma a noi sembrò da subito che, dietro quei gesti, stesse un pensiero, una immagine di chiesa che ci faceva riandare agli orizzonti del Concilio.

Si tolse fin dalla prima sera l’imponenza, tutto ciò che alla figura del Papa legava l’immagine di una certa sovranità, nei vestiti, nelle parole, nei gesti.
Diventò subito il Papa dell’immediatezza.

Lo guardammo, era come abitato da una passione di vicinanza, quella del pastore cha fa vita con il gregge: quella passione era nei suoi occhi e sulla sua pelle…
Disse: “Buona sera”, era una chiesa che entrava negli spazi della giornata, nella casa, nelle ore delle case. L’ora della sera.
Quasi ad allontanare la visione di una chiesa che fa le sue cose e non le stanno a cuore le sere delle donne e degli uomini, le sere del mondo.

Il Papa del concilio si chiamava fratello. Il Papa, che veniva dalla fine del mondo, il suo essere fratello lo disse con un gesto che non finisce di stupire, dove la fraternità ha la precedenza sul ruolo: chiese una benedizione, una preghiera, chiese di essere benedetto dal suo popolo, prima di benedire.
Un popolo che benedice il suo pastore.
L’impressione fu enorme, era profumo di vangelo.

In questa ricorrenza vorrei salutarlo e ringraziarlo così:
Caro Papa Francesco, io sono un vecchio prete, ma, pur da vecchio, non avevo mai smesso in questi anni di fare sogni, e tra i sogni, che ancora accendevano di passione gli occhi e il cuore, quello – e prendo a prestito la parole da don Primo Mazzolari – di una chiesa che “fa casa con gli uomini”.
Tu hai dato corpo al sogno.
Hai legato la tua immagine non a un Palazzo se pur pontificio, ma a una casa. Ogni volta che ti penso a Casa Santa Marta, penso che tu fai casa, fai casa con noi, fedele ancora una volta a Gesù che ha messo la sua tenda in mezzo a noi.
Vorrei ringraziarti: con te la chiesa “fa casa”. Io porto emozione negli occhi.

Angelo Casati

Il testo è tratto dal libro “Semplicemente grazie” (Edizioni Romena)

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Il segreto di Zia Caterina



Caterina Bellandi, per tutti zia Caterina, è stata nominata dal presidente Mattarella Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. Un’onoreficenza che riceverà al Quirinale il prossimo 24 marzo.
In questa occasione ho sentito il bisogno di scrivere su questa colorata tassista che da una vita si dedica a un servizio unico: stare vicina ai bambini malati oncologici, nei loro viaggi in taxi in ospedale e non solo…Perchè, e questo è il motivo dello scritto, la relazione tra Caterina e i suoi ‘supereroi’ è molto di più…


Secondo me è stato uno dei suoi piccoli supereroi. Uno di quelli che è in terra, che è riuscito a eludere tutta la sorveglianza, a saltare sulle ginocchia di Nonno Sergio e a raccontargli tutto.
O uno di quelli che è in cielo, che si è reso presente in un modo misterioso, ottenendo lo stesso effetto: far aprire al ‘Presidente di tutti’ quel voluminoso registro, per scrivere il suo nome.
Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica.

Sì, deve essere andata così. E’ molto probabile che tutto sia avvenuto molto rapidamente. Non perché non ci fosse molto da dire, ma perché ciò che contava era concentrato in poche parole: . “Zia Caterina è un’amica. E ci vuol bene”.

Negli articoli su zia Caterina si indugia molto, giustamente, su ciò che ‘fa’, e risalta invece poco ciò che ‘è’ per quei bambini che vivono la prova durissima della malattia oncologica.
Un’amica. Semplicemente. Enormemente.

Caterina non è amica di quei bambini solo perché assomiglia a Mary Poppins e ha un taxi variopinto.
Certo, questi strumenti aiutano. Il vestito è un ponte di contatto, un soffio di fantasia e di follia che scompiglia quella realtà che la malattia rende adulta di colpo, per costringerla a ritornare bambina.
Il taxi è un deposito di ossigeno colorato dove si torna a respirare senza ansia, dove ci si prepara a giocare una partita diversa da quella, durissima, che si disputerà sul letto di un’ospedale: star bene lì aiuterà a vincerla là.

Ma tutto questo non basta a raccontare zia Caterina. E non è certamente questo ciò che i supereroi, così lei li chiama, hanno sussurrato all’orecchio attento del Presidente.
Nel segreto che unisce zia Caterina ai bambini c’entra molto la storia di lei, prima ancora che la malattia di loro. C’entra molto Stefano, che lei amava e continua ad amare.
Quell’amore entrato troppo presto nella spirale della malattia e della morte, ha aperto un vuoto così incolmabile in lei che da provare a riempirsi solo cercando altro amore.
Caterina offre il suo vuoto, lo mostra ai bambini senza maschere: “Io non li aiuto, chiedo a loro di aiutare me” dice, ed è questo incontro di fragilità che crea una meravigliosa alchimia.

Caterina cambia la prospettiva: non apre la mano per offrire, ma per chiedere. I bambini sentono di poter giocare alla pari con lei, di poter mescolare il loro sentire con il suo, sentono non solo di poter trovare una spalla cui appoggiarsi, ma anche di poter offrire fieramente la loro.
E da questo gioco di relazioni sovvertite, inattese, imprevedibili sgorga un flusso d’amore inesauribile.

Caterina li porta col suo taxi all’ingresso dell’ospedale ma, a corsa completata, non scende dalle loro vite. Intesse con loro un dialogo costante, intimo, profondo, accompagna loro e le loro famiglie sul terreno continuamente scosceso delle loro battaglie, nel bilico costante delle attese per un esame, o delle ansie, per un intervento, abita con loro sul crinale senza respiro della paura e della speranza.
Non fa tutto bene, perché è umana, perché ha i suoi limiti, perché è un po’ ‘matta’ come dice lei, perché le relazioni umane sono tortuose, e in quelle situazioni ancora di più: ma ci mette sempre il cuore. E al cuore lei obbedisce sempre.

Caterina non circoscrive mai il terreno della sua vicinanza: li va a trovare a domicilio per un compleanno o per un’altra ricorrenza, che abitino in Piemonte o in Sicilia; offre tutto il sostegno possibile alle loro famiglie quando arrivano in Toscana per una terapia.
Cerca soprattutto di essere presente in tutti quegli interstizi di bellezza e di gioia che vanno cercati e celebrati ancora di più quando la vita è così sospesa, quando è così, ingiustamente, in pericolo.

I supereroi di zia Caterina hanno un nome che non diventa mai un servizio, l’appendice di una buona azione: il loro nome è una scritta indelebile nella sua vita, è un soffio di energia buona in quello stato di perenne inquietudine che pure è il giacimento della sua energia.
Perché Caterina non si stanca mai. È sempre in viaggio, le relazioni con i suoi bambini sono il suo navigatore satellitare, la sua direzione di marcia. Sono, semplicemente, la sua vita.

“Caro Nonno Sergio – così devono aver detto i supereroi – ci faccia fare questo regalo alla Zia.
Trovi un modo, uno di quelli che avete voi adulti, di farla sentire speciale. Per noi lo è già”.

24 marzo, Provo a immaginare la Zia Mary Poppins nella solennità di quei saloni, al Quirinale. Già la vedo con le lacrime di emozione che invadono il trucco.
Non si diventa diversi per un’onorificenza. L’onorificenza serve a condividere con altre persone ciò che si è già.
Caterina è un bellissimo, fragilissimo, concentrato d’amore.
Lo sapevamo già. Ora è Ufficiale.

Complimenti zia. Ti voglio bene.

Semplicemente grazie: domenica 12 un incontro a Romena per i 10 anni di Papa Francesco

I

Il 13 marzo del 2013 si alzò un vento nuovo, coinvolgente, inatteso. Era sorprendente e emozionante accorgersi che quel vento si alzava dalla Piazza del Vaticano.
10 anni fa arrivò il giorno in cui un Papa scelse il nome di Francesco e chinò la testa davanti al mondo chiedendo umilmente di pregare per lui.
Una cara amica nei giorni successivi cominciò a collezionare e raccontare ogni giorno i gesti irrituali del Papa, le novità che portava, gli scarti col passato. Poi smise non perchè le mancava la materia prima, ma per l’esatto contrario. Era sopraffatta.

“Semplicemente grazie”. Lo abbiamo già detto una volta, in occasione dei cinque anni di Pontificato. Allora dedicammo a Francesco una pubblicazione in cui quel grazie veniva ripetuto e motivato da uomini di fede e non, da scrittori, giornalisti, teologi di varie estrazioni.
“Semplicemente grazie” ripetiamo oggi, in occasione dei 10 anni, con la stessa forza e con accresciuta riconoscenza. E questa volta abbiamo pensato di dedicare a Francesco un incontro cui parteciperanno alcuni grandi testimoni che lo conoscono molto da vicino.
L’appuntamento è per domenica 12 marzo, ore 15, nel nostro auditorium.
Nell’immediata vigilia del decennale parleremo di Francesco, dei cambiamenti di stile e di contenuto da lui introdotti, del ruolo che ha avuto e ha nel cammino dell’umanità in questi anni difficili con Marcelo Fugueroa, Paolo Ruffini e Annachiara Valle.

Marcelo Figueroa arriverà addirittura dall’Argentina per raccontare il Papa, di cui è amico personale da oltre venti anni. Scrittore, biblista, presbitero della Chiesa presbiteriana, è il primo protestante ad essere divenuto «firma» sull’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, di cui dirige l’edizione argentina.

Paolo Ruffini, giornalista, già direttore di Rai 3, di La 7, di Tv2000, è Prefetto per la Comunicazione della Santa Sede: la sua nomina, nel 2018, è stata una significativa novità voluta da Francesco che, per la prima volta, ha scelto un laico alla guida di un Dicastero.

Annachiara Valle, giornalista, vaticanista, ha seguito da vicino per Avvenire e poi per Famiglia cristiana il percorso del pontificato partecipando a tantgi viaggi di Francesco.

L’incontro sarà introdotto da don Luigi Verdi, E poi ci saremo tutti noi per trasmettere, ognuno a suo modo, un grazie corale al Papa che più sentiamo vicino.

“Lo stupore di esistere”: Romena ricorda Carlo Molari


“Dove ci condurrà la vita? Che importanza ha saperlo se sei certo che là dove ti conduce c’è un amore?” Un anno fa Carlo Molari ha potuto verificare di persona quello che aveva percepito come uomo di fede e come ricercatore dell’infinito. Ma “Il più grande teologo dei nostri giorni”, così lo ha definito Vito Mancuso, esaurito il suo cammino sulla terra a 94 anni, ha continuato e continua a stimolare pensieri, speranze, ansie di libertà. Il suo pensiero profetico continua a precederci, ad aprirci il cammino. Per questo abbiamo pensato di cogliere questa ricorrenza (Carlo è morto il 19 febbraio del 2022) per dedicargli un libro “Lo stupore di esistere” (Edizioni Romena), nel quale abbiamo raccolto gli interventi fatti da Carlo a Romena su tre grandi temi: “Lo stupore”, “L’amore” e “La fiducia”.
Il grande teologo si presenta con un linguaggio accessibile, adatto a ogni lettore, con il quale è possibile toccare con mano la vastità del suo pensiero. Un pensiero che viene anche meravigliosamente presentato da Vito Mancuso con un suo intervento letto davanti a Carlo Molari in occasione del suo novantesimo compleanno.
Quello che vi proponiamo è quindi di avventurarvi tra le parole di questo teologo speciale: è un’avventura che tocca le corde profonde della vita, che apre scenari inattesi, che riesce a raggiungere testa e cuore insieme.
Per iniziare con voi questo viaggio vi anticipiamo un breve passaggio del libro e il testo della prefazione che ho scritto provando a raccontare l’incontro di Romena con Carlo e i motivi per cui ha affascinato così tanto…
Buona lettura!

Prefazione “Lo stupore di esistere” di Massimo Orlandi

CARLO MOLARI E LO STUPORE DI ESISTERE

«Aver fede in Dio non significa sapere cosa è Dio perché noi non possiamo saperlo.
Aver fede in Dio vuol dire sapere che ciò che è in gioco nella nostra piccola storia è molto più grande di quello che siamo, perché contiene anche tutto quello che saremo.
Questo significa vivere la fede in Dio: non pretendere di sapere cosa è Dio.
E questa io credo sia la ragione più grande dello stupore, per cui ogni piccola novità
che emerge non suscita stupore per quello che è, ma per l’immenso di cui fa presagire l’esistenza.
Lo stupore, quindi, diventa l’attesa di quello che ancora non è stato conosciuto, non è stato amato, non è stato vissuto.
E questa è la forma più gioiosa dello stupore perché non ha confini, non ha il limite delle cose, non ha il limite della nostra conoscenza. Resta aperta all’infinito. Quando, nei momenti di contemplazione – e tutti ne dobbiamo avere perché contemplare significa aprire l’occhio oltre la superficie delle cose – non si vede nulla, ma si vede che il nulla è pieno di una presenza, si percepisce che c’è una forza più grande.
E affidarsi a questa forza è lo stupore più grande, è lo stupore della fede.

A Romena venerdì 6 gennaio per “Sperare insieme”

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È il primo appuntamento dell’anno. Un’occasione per iniziare il 2023 con le parole giuste e un accompagnamento di musica. Domani, venerdi 6 gennaio, ore 15, vi aspettiamo a Romena per “Sperare insieme”.
Doveva essere con noi, in questa occasione, Josè Tolentino Mendonca, ma il cardinale, amico di Romena, comprensibilmente non potrà lasciare il Vaticano in questi giorni così delicati.

Sarà direttamente don Luigi Verdi in una conversazione pubblica con me nel nostro auditorium ad aprire il nuovo anno con una riflessione e la presentazione del programma di Romena, che si intitola “Sperare insieme”.

Il nuovo anno si aprirà anche anche all’insegna della musica grazie ai Vallesanta Corde. La musica di Andreas Petermann (Violino), Fabio Roveri (Chitarra) e Renate Titze (Contrabasso), pescando in vari generi permetterà di vivere una atmosfera di festa e di gioia.
Al termine dell’incontro e del concerto, la messa.

Vi aspettiamo!

Grazie Christian, semplicemente grazie

La notizia della morte di Christian Bobin ci ha preso il fiato. Era uno scrittore che ci parlava al cuore,
che ci ispirava, che sapeva raccontare, con una originalità e una delicatezza unica, ogni sfumatura dell’esistere. Le prime parole che mi sono venute, per ricordarlo, hanno preso spontaneamente la forma di una lettera a un amico, un amico di Romena. Perchè così lo abbiamo sempre sentito.

Caro Christian,

quanto sei stato presente tra di noi senza averti mai incontrato!
Eri con noi tutte le volte che cercavamo spunti, idee, intuizioni per i nostri incontri.
Eri in tutte le nostre pubblicazioni, che fossero nuovi libri, testi di veglie, agende. A volte dovevamo limitarci perché le tue frasi provenivano da uno spazio di bellezza incomparabile al resto, ed era dura non selezionarle tutte.

Ti leggevamo con discontinuità perché i tuoi libri non tolleravano la presenza sovrabbondante del lettore; chiedevano di essere distillati con cura: era una delicatezza necessaria per poter cogliere ogni particolare.

Molti pensavano che fossi un amico o un frequentatore dei nostri spazi tanta era la frequenza con cui ti citavamo; fra Giorgio, in particolare, ti chiamava “il mio Bobin”. Lui, frate cappuccino, era rimasto incantato dal tuo libro su San Francesco e, da quel momento, ti aveva fatto entrare in ogni suo spazio di bellezza. Ieri, sono certo, era ai primi posti, nella fila di chi ti ha accolto nell’oltre.

Io ti avevo conosciuto attraverso un articolo della nostra Maria Teresa Abignente. Sono molto sensibile ai suoi consigli letterari, ma in questo caso ciò che mi aveva colpito era anche la tua storia: la storia di uno scrittore che vive tutta la sua città in una piccola città di provincia della Francia, Le Creusot, neanche apparentemente accattivante, e che trova ispirazione in ogni sfumatura del quotidiano, che sa leggere ogni dettaglio attraverso cui la vita, la vita vera, ci parla. Questa tua capacità unica di trasformare in meraviglia le sfumature di ogni istante l’avresti poi spiegata con una delle tue imperdibili frasi: “Alla nascita una fata si è chinata sulla mia culla dicendomi: ‘Assaporerai una parte minuscola di questa vita e in cambio la percepirai tutta’”.

Era bello anche cercarli, i tuoi libri. Non erano pubblicati dai colossi editoriali, ma da piccoli editori, quelli che ti avevano scelto perché che ti amavano di più. Penso a Giuseppe Conoci, che era partito dalla Puglia e si era presentato a casa tua per conoscerti di persona. Era stato così bello, naturale e pieno di entusiasmo quel gesto che “Anima mundi” la sua piccola casa editrice, era diventata lo spazio di diffusione di molti tuoi scritti in Italia.

Avremmo dovuto replicare il gesto di Giuseppe. Non era difficile trovarti, visto che non ti muovevi quasi mai dai tuoi spazi. Ci sarebbe voluto un azzardo e un pugno di giorni. Ci siamo invece fermati all’idea di farlo, appagandoci di una conoscenza vera come quella che comunque ci consentivi attraverso le tue parole.
Però ora ci manca uno sguardo, un sorriso, una piega del volto da affiancare alle tue parole.

Un anno fa, però, ci siamo sfiorati. “Gigi, Massimo, perché questo libro non lo facciamo insieme?” La proposta di Giuseppe Conoci, che ci è amico da tempo, era in realtà un regalo. La possibilità di unire la nostra realtà di Romena al tuo nome, insieme ad “Anima mundi”. Era un libro speciale, un’intervista che due giornalisti francesi ti avevano fatto sul tema della morte. Non perdemmo l’occasione. Ogni parola di quel libro, “Un azzurro che non mente più”, è come se oggi brillasse di una luce speciale.
Prendo solo alcune righe, quasi a caso: “La morte non prende che il tempo. È molto. Ma non prende che questo. Léon Bloy dice: “Morire è solo togliere la polvere che copriva un bel mobile.” La morte ci mette in una grande intimità con lei. Ma c’è una stanza segreta in noi, nella quale non sa entrare. Questa stanza arde di gesti, di sorrisi, di frasi che ci hanno abbagliato e ci hanno portato lontano da noi stessi, lontano dal mondo e da tutto. La morte non prende queste cose”.

Non c’è una pagina di questo libro in cui la morte non serva ad altro che a parlare di vita, non c’è più vita che in un tuo libro sulla morte. Questo sei tu Christian, questa è la tua magia vera del tuo scrivere.
“I i libri di Christian Bobin – ha scritto su di te la nostra Maria Teresa – appartengono ad una categoria a parte, dove la poesia si intreccia con la musica delle parole e dove la realtà attraverso lo scritto vola fino a raggiungere l’irraggiungibile”.

Tutto questo continua. Ora è nella stanza segreta di cui ci hai parlato. Continueremo a frequentarla sapendo che lì ci sei, e ci sarai sempre.
Ma permettici almeno di dirti una parola, una sola, quella che ci sarebbe piaciuto pronunciare bussando alla porta della tua casa in Borgogna.

Merci Christian, semplicemente grazie

Ti vogliamo bene.

“Una persona alla volta”: domenica 13 novembre, ore 15, la presentazione del libro di Gino Strada



Avremmo voluto portarlo qui, fargli conoscere Romena, testimoniargli direttamente la nostra gratitudine, Non è stato possibile. Ma domenica prossima, 13 novembre, ore 15, a Romena, riusciremo comunque a incontrare Gino Strada.
Ci sarà il suo ultimo libro, ci sarà Simonetta, che ha curato “Una persona alla volta”, e che soprattutto è stata sua compagna e poi moglie negli ultimi anni di vita, ci saranno i volontari di Emergency. E soprattutto ci sarà la sua testimonianza di una vita contro la guerra, e per la dignità di ogni essere umano.

“Una persona alla volta” racconta le esperienze che hanno condotto un giovane chirurgo di Sesto San Giovanni fino ai Paesi più lontani, dall’Afghanistan al Sudan, con un unico filo conduttore: salvare vite e lottare per i diritti di ogni essere umano.
“Dietro a ogni ragazzino ferito – scrive Simonetta Gola nella postfazione – dietro a un uomo che chiedeva aiuto, Gino riusciva sempre a intravedere una moltitudine. Vedeva quel ferito e allo stesso tempo la situazione di tanti come lui. Curava le vittime e intanto rivendicava diritti. Una persona alla volta”.

L’incontro sarà accompagnato dalla proiezioni di video e filmati e dalle letture di Francesca Chiari.
L’ingresso sarà libero.
La giornata è organizzata dalla Fraternità di Romena insieme al gruppo Emergency di Firenze.

Il regalo di don Luigi Ciotti

Oggi è un giorno speciale per don Luigi Ciotti e per chi, come noi di Romerna, lo considera un fratello maggiore oltrechè un faro di luce autentica.

Esattamente 50 anni fa , l’11 novembre del 1972, Il fondatore del gruppo Abele e di Libera diventava prete ricevendo dal Vescovo di Torino Michele Pellegrino la consegna più originale: la sua parrocchia sarebbe stata la strada.

Un mese fa, durante la sua visita a Romena, don Ciotti invece che riceverlo, ci ha fatto un regalo per questo suo anniversario speciale: ci ha raccontato, con tanti particolari e aneddoti, quegli anni giovanili in cui si preparò a diventare prete.
Abbiamo così conosciuto più da vicino cosa abitava nel cuore di quel giovane di una famiglia povera che voleva spendersi per gli altri, abbiamo saputo delle sue fughe notturne dal seminario per raggiungere i “suoi ragazzi” (allora il regolamento non lo permetteva e Luigi ‘evadeva’ da una finestra dell’edificio), abbiamo conosciuto meglio il vescovo che lo fece prete (“per me Michele Pellegrino è stato un padre”), e abbiamo vissuto l’atmosfera di quella giornata di novembre, in cui Luigi ricevette quelle speciale consegna.

Credo che un modo bellissimo per festeggiarlo oggi, sia condividere questo racconto che si concentra nei primi venti minuti dell’incontro.
Immaginiamo di radunarci intorno a lui che raramente parla di sé, ma che per questa occasione ha fatto una eccezione. E in questi minuti c’è il senso profondo della sua missione. Il suo dono totale di sé. La sua autenticità di uomo di fede.

E alla fine di questo racconto viene voglia di abbracciarlo e di dirgli, una, cento, mille volte: “Grazie, fratello Luigi, sei un grande dono per tutta l’umanità”.

L’incontro di Valentina Bisti con la preside-coraggio di Caivano



C’è una preside speciale che ogni mattina fa il giro di un quartiere molto difficile della periferia di Napoli e va a cercare tutti i ragazzi che sono indecisi se entrare a scuola.
Quella preside ha trasformato un plesso travolto dal degrado in una scuola di eccellenza, un modello a livello nazionale, e ha ridato speranza e futuro a tantissimi giovani.

La storia di Eugenia Carfora è stata presentata a Romena da un’ospite speciale: Valentina Bisti, giornalista, conduttrice del Tg Uno Rai. Valentina conosce molto bene Eugenia, ed è stata lei a suggerire questa testimonianza per il convegno “Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece”. La giornalista è infatti molto legata a Romena e nella prima parte di questo incontro, prima di presentare e intervistare Eugenia, mi racconta i motivi di questo suo rapporto con la pieve, per poi spiegare anche perché la storia della preside di Caivano le è entrata così profondamente nel cuore. L’incontro è da oggi interamente disponibile online e in fondo a questo articolo.

Da non perdere anche il finale dell’incontro quando sul palco dell’auditorium di Romena salgono Arianna Ciampoli (conduttrice e autrice Tv), anche lei estimatrice di Eugenia cui ha dedicato un bellissimo reportage e Simona Molinari, grande vocalist e cantautrice, ospite speciale del convegno.
La chiusura di questo incontro indimenticabile è quindi all’insegna di quattro grandi donne

Sabato 15 e domenica 16 due giorni speciali a Romena

“Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece”. E’ sulla scia di questa potente frase di Pier Paolo Pasolini che partirà il percorso di incontri, riflessioni, grandi testimonianze in programma sabato 15 e domenica 16 ottobre a Romena.

Scopo dell’iniziativa quello di trasformare la sensazione di impotenza e di disagio che attanaglia un po’ tutti in questo momento storico alla luce di guerre, preoccupazioni economiche e sanitarie, per cercare invece segnali di speranza, per provare a riaccendere un po’ di luce dentro il nostro cammino personale e corale.

Nel corso di questo appuntamento sarà possibile incontrare un grande testimone di questo tempo, come don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera nonché amico storico della Fraternità di Romena o ascoltare le riflessioni di uno scrittore tra i più amati come Maurizio Maggiani. Spunti preziosi sul futuro nostro e dei nostri giovani arriveranno da Johnny Dotti, pedagogista e imprenditore sociale, da Eugenia Carfora, la preside della scuola di Caivano che in un’area caratterizzata da dispersione scolastica e microcriminalità, ha saputo realizzare una scuola-modello di legalità, e da Leonardo Becchetti, economista aperto e acuto, autore di un volume capace si sintetizzare i temi del convegno: “La rivoluzione della cittadinanza attiva: come sopravviveremo a guerre, epidemie e a un sistema economico e ambientale in crisi”.

Nel corso del convegno uno spazio sarà dedicato anche a una riflessione su come la chiesa italiana tenterà di affrontare queste nuove sfide: su questo tema sarà possibile ascoltare il vescovo di Cassano allo Jonio Francesco Savino, vicepresidente della Cei.

Il fine settimana prevederà anche una serata all’insegna dell’arte: la sera di sabato 15, ore 21, è in programma l’incontro con Simona Molinari, cantautrice italiana nonché vocalist pop e jazz di straordinario talento. Simona ha di recente vinto il Premio Tenco, uno dei più grandi riconoscimenti musicali, come “miglior interprete di canzoni” per il suo nuovo album “Petali”.

Tutti gli incontri si svolgeranno nell’auditorium della Fraternità con il coordinamento di Massimo Orlandi e con la presenza, anche in questo caso, di alcune ospiti speciali:

la giornalista del Tg1 Valentina Bisti condurrà l’incontro con Eugenia Carfora, Arianna Ciampoli, conduttrice e autrice Tv, quelli con il vescovo Savino e con Simona Molinari.

Il convegno si aprirà sabato 15 alle ore 11 per concludersi il pomeriggio del 16 con l’intervento di don Ciotti.
Durante tutto il fine settimana negli spazi della Fraternità sarà esposta la mostra “Un segno tra umanità e disumanità” di Ebrima Danso nella quale il giovane artista gambiano racconta il suo viaggio della speranza dall’Africa all’Italia.