Il tempo della cura”: in corso le iscrizioni al convegno dell’11-12 maggio

Da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, a Licia Colò, autrice di tantissimin reportage in tutto il mondo, tanti preziosi testimoni di questo tempo: ci saranno anche Joy Ezechiel e Rita Giaretta per portarci una bellissima storia di vita e di riscatto, Franco Michieli, esploratore, Armando Punzo, regista, Elisabetta Salvatori, attrice, Cristiano Lucchi, giornalista, Fabrizio Grecchi, compositore e pianista e Andrea Speri, pianista.
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI
– telefonando al 347 99 15 549 (martedì e mercoledì orario 15-18; venerdì orario 16-18)
– scrivendo a convegni@romena.it.
– compilando il modulo online a questo indirizzo https://www.romena.it/iscrizione-convegno/

Comincia il conto alla rovescia verso il primo convegno 2024 della Fraternità di Romena, in programma sabato 11 e domenica 12 maggio.
Il tema che abbiamo scelto quest’anno come filo conduttore è: “Il tempo della cura”,
la cura intesa non tanto come il percorso terapeutico per uscire da una malattia, quanto piuttosto come attenzione, passione, premura che abbiamo per qualcuno o verso qualcosa.
La cura può aiutarci a riattivare quel legame con sé stessi, con gli altri, con ogni essere vivente per aiutarci a rilanciare il nostro impegno in questo presente

In questo primo appuntamento, così, a testimoniare la cura della pace, arriverà Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Riccardi ha avuto un ruolo di mediazione in diversi conflitti e ha contribuito al raggiungimento della pace in alcuni Paesi, tra cui il Mozambico, il Guatemala, la Costa d’Avorio, la Guinea. Il suo ultimo libro è “Il grido della pace”.
Il bisogno di cura del nostro pianeta ci sarà testimoniato da Licia Colò, notissima conduttrice televisiva che da trent’anni ci porta in tutto il mondo con trasmissioni come ‘Geo & Geo’, ‘Alle falde del Kilimangiaro’, ‘Eden’ invitandoci a scoprire, conoscere ed amare il mondo.

Armando Punzo, regista, Leone d’oro per il teatro, ci testimonierà la cura della libertà, quella che vive con i suoi detenuti-attori: da 35 anni infatti lavora nel carcere di Volterra dove ha fondato la Compagnia della Fortezza, esperienza specialissima di teatro in carcere.

Joy Ezekiel, nigeriana, ci testimonierà la cura della vita: la sua era stata compromessa da una vicenda terribile. Era stata convinta da un’amica di fiducia a partire per l’Italia con la promessa di un lavoro con il quale potrà mandare denaro alla sua famiglia. Ma al suo arrivo in Italia aveva scoperto che il lavoro promesso è “la strada”, dove è stata obbligata a prostituirsi. E’ riuscita a liberarsi grazie all’aiuto di Suor Rita Giaretta (anche lei sarà con noi) che, con l’azione sua e della sue sorelle ha permesso di salvare almeno 600 ragazze dalla tratta. Oggi Joy vive a Roma, lavora in una cooperativa sociale e si occupa di assistenza agli anziani e ai disabili.

Cristiano Lucchi, giornalista, direttore di ‘Fuori binario’, rivista dei senza dimora di Firenze, ci racconterà quanto sia preziosa la cura della dignità per chi non ha un tetto sopra la propria testa.
La cura della natura ci sarà testimoniata da uno straordinario esploratore come Franco Michieli: Franco ha viaggiato a piedi nelleterre selvagge di tutto il mondo, dalla Norvegia ai Pirenei, dall’Islanda alle Ande senza mappe, bussola, Gps, senza cellulare, orientandosi con sole, nubi, vento. La sua vita è come il titolo di un suo libro “La vocazione di perdersi”.

Infine Elisabetta Salvatori ci mostrerà quanto sia prezioso e emozionante curare le parole: con le parole lei ci farà incontrare una grande straordinaria figura di questo tempo: Madeleine Delbrel. Le due giornate saranno accompagnate dal vento ispiratore dell’arte e della creatività: Andrea Speri, un pianista speciale, con sindrome di down, creerà il clima giusto di ogni incontro,
Fabrizio Grecchi proporrà la musica dei Beatles, da lui reinterpretata al piano, raccontando la storia di una vita, la sua, in cui la musica in generale, e quella del quartetto di Liverpool in particolare, è stata un fattore di salvezza.

Don Giovanni Sassolini e il suo amore paterno per Romena

“Guarda don Giovanni che questa giornata meravigliosa è anche merito tuo!”
Gli dissi questa frase un attimo prima di chiedergli di mettarsi in posa insieme a me, a Angelo Rossi e a don Gabriele Bandini. Eravamo in piazza San Pietro, pochi minuti prima la Fraternità di Romena era stata ricevuta da Papa Francesco che ci aveva destinato parole bellissime. Volevo documentare quel momento insieme a chi aveva, per tanti motivi, contribuito a propiziarlo.

Don Giovanni Sassolini, che ieri ci ha lasciato alla soglia degli 80 anni, è stato un grande, saggio ‘babbo’ di Romena.
E’ stato lui, per primo, a conoscere l’intenzione di un ragazzetto di allora, Gigi Verdi, di farsi prete. “Torna fra un anno” gli disse, per capire se quell’intenzione aveva radici salde.
Un anno dopo Gigi era di nuovo da lui, fedele all’appuntamento, e don Giovanni diventò il riferimento fondamentale del suo cammino di vocazione prima, del suo percorso da prete dopo.
Giovanni era un uomo aperto ma anche equilibrato, capace di trovare sempre la strada del dialogo. Ed era una persona gioviale, sempre disposto all’ironia e al sorriso.
Era, per Gigi, e per tutti noi, un preziosissimo consigliere:
si è sempre reso presente in tutto il nostro percorso, con il suo sostegno, con la sua vicinanza, con i suoi consigli.

Sacerdote amatissimo nel suo Valdarno, dove aveva sempre operato, era legatissimo anche a noi tanto che, quel giorno di novembre del 2023, nonostante la malattia, raccolse tutte le sue energie residue per venire a Roma: non poteva mancare a quell’appuntamento così speciale per noi di Romena.

Grazie don Giovanni per tutto quello che hai fatto, per quanto ci sei stato vicino con benevolenza, discrezione e saggezza: ti salutiamo proprio oggi, festa di San Giuseppe.
Non ci potrebbe essere ricorrenza più adatta.

Willy e la danza dei suoi 60 anni

Oggi il ballerino più speciale al mondo compie 60 anni. Ma se la notizia vi è sfuggita, se non l’avete trovata nell’home page del vostro sito preferito, non vi preoccupate.
Il ballerino in questione non si è mai esibito alla Scala, ne ha deliziato il pubblico dell’Arena di Verona, e nel suo repertorio non c’è “Il lago dei cigni”.
William Boselli, detto Willy, però, è il ballerino più grande di sempre nella specialità più importante: la danza della vita.
Da quasi quarant’anni Willy non solo non danza sulle punte, ma nemmeno le muove, le punte. Una tremenda malattia ha prima frenato e poi fermato ogni suo movimento, dal collo in giù.
Ma, e qui arriva il bello, la sua danza non si è fermata, anzi.
“Ogni gesto che compio silenziosamente – spiega l’amico bolognese- resta racchiuso all’interno del mio corpo. Io lo so di muovermi benissimo. Solo che voi non lo vedete. Ma sono un gran ballerino, credetemi”.
Ora capite perchè è il numero uno nella danza più spettacolare che esista perchè prescinde da ciò che le sembrerebbe necessario: il movimento.

In realtà, in questi quarant’anni, Willy non solo ha ballato ma ha fatto ballare centinaia di amici: chi gli è stato, chi gli è vicino non può che farsi coinvolgere in quel vortice di bellezza e di gioia che lui sprigiona: perchè Willy è riuscito a risalire alla fonte suprema della vita, laddove abita ciò che è davvero essenziale: amicizia, amore, emozioni.
La danza immobile di Willy è fatta di semplicità, di ironia, di ascolto, di una affettività naturale verso ogni essere umano: la sua leggerezza è frutto della sua coraggiosa capacità di sapersi liberare da ogni fardello inutile, dal suo saper godere di ogni particella di bello che si muove nell’aria.

Non ci sono articoli da prima pagina per festeggiare il ballerino Willy, ma stasera lui avrà molto di più: la sua famiglia e i suoi amici intorno, e ognuno potrà godere della sua presenza, ognuno sarà così risucchiato in un balletto inebriante e infinito come quello dei dervisci rotanti.
E visto che stasera non potrò esserci a Bologna, per la sua festa, almeno garantirò l’articolo. Questo. Non da prima pagina, però scritto col cuore.
Auguri di cuore ballerino.
Ti voglio bene.

Ps. A chi volesse conoscere un po’ meglio Willy, faccio seguire un’intervista che gli ho fatto a Padova alcuni anni fa e alcuni brani di un articolo che gli dedicai molti anni orsono, agli albori della nostra amicizia, dopo un incontro con lui a Romena…

“Ogni gesto che compio silenziosamente resta racchiuso all’interno del mio corpo. Io lo so di muovermi benissimo. Solo che voi non lo vedete. Ma sono un gran ballerino, credetemi”. Il passo di danza di Willy è fatto di palpebre e guance: le prime giocano con gli occhi, le seconde fanno da quinta al suo sorriso. Non serve altro, nemmeno la musica: solo mettersi a sedere. E guardare.

Sono passati quasi trent’anni da quando William Boselli scopre di aver un ospite inatteso che si aggira malefico nel suo cervello. La freschezza dei suoi diciott’anni si misura con la sfida a quel perfido angioma che lo stuzzica, che lo fa barcollare. Che lo mette al tappeto. Non si può restituire la bellezza e l’armonia dei propri movimenti proprio nel cuore della loro efficienza. Ma a Willy accade proprio questo. Prima le gambe, poi, gradualmente, le mani. Che la sua vita sia un distillato di sofferenza? Willy non lo pensa mai, anche se qualche indizio pesa.
“Sapete cosa significa sentire la pipì e non potersi alzare per pisciare?” No, non lo sappiamo. Lui sì. Gli indizi peggiori della sua condizione di tetraplegico non riguardano le corse nei prati o le nuotate al largo. Ma gli esercizi più scontati per noi, che si fanno tabù per lui.

Eppure. C’è un “eppure” che all’inizio è piccolo, ma che poi prende forza. Eppure indica la presenza di una via d’uscita, di un pertugio apparentemente secondario in quella selva intricata di dolore. Eppure è il segno che ci si può fare, che ci si può provare. Solo che quella parola non puoi pronunciarla da solo. Ci vuole l’affetto di una famiglia, di babbo e mamma, delle sorelle, ci vuole l’abbraccio convinto e non compassionevole degli amici. Ci vuole amore, amore a più non posso per la vita, per gli altri, per tutto. Eppure. Eppure Willy ce la fa.
Sentitevi addosso il brivido che Willy non può avvertire. Ma avete letto bene: ce la fa.

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Immaginatelo ora nella nostra pieve, Willy. Immaginatelo che ci racconta la sua storia, che ci fa ridere, che ci commuove. La vita è bella, ci dice. Bella, sì, anche quando la guardi e non la puoi toccare con le mani, anche quando non puoi, fisicamente, correrle incontro. E tutto questo Willy non solo lo dice, te lo fa respirare. Per la sua leggerezza, per la sua autoironia, perchè di tutto quello che abbiamo, e molto di questo lui non può assaporarlo, lui sa cosa conta veramente. “La cosa più importante è sapere vivere tutti i giorni. Guardate che non è bello stare in ‘carrozza’, io stavo bene anche senza, però cerco di vivere in maniera piena e particolare quello che mi viene dato. Ogni anno festeggio volentieri il mio compleanno perchè è un anno in più che ho vissuto. E così oggi essere qua con voi per me è una vittoria, un regalo”.

Il racconto di Willy scorre come acqua fresca sulle noste vite spesso inutilmente attorcigliate. Lui che ha dovuto fare i conti con quasi tutte le nostre paure, ora sa come gestirle. Lui che ha dovuto gestire mille limiti, invece che sprofondarci li ha circoscritti. In nessun incontro come in questo sento pronunciare tante volte la parola fortuna. Fortuna i genitori, che non lo hanno mollato un istante, fortuna gli amici che riempiono la sua vita, fortuna anche la tecnologia domotica grazie alla quale nella sua stanza può scrivere, rispondere al telefono, cambiare il canale alla tv. Ma Willy è ancora più semplice e schietto delle cose che diciamo di lui.
“La rinuncia più grande? È quella all’autonomia. Sono sempre stato abituato fin da ragazzo a muovermi con molta libertà. All’inizio il dover chiedere è stato molto faticoso. Poi mi sono adeguato. D’altra parte che potevo fare?” Su Internet c’è un sito che parla di Willy e gli assomiglia. Il sito (www.wtkg.it) è popolato di volti, di frasi, di saluti, è come essere nella sua camera e guardare le pareti e vederle animate di ricordi vivi, di persone. È un luogo festoso, vibrante di vita: il saper vivere di una persona non dipende dai suoi limiti, ma da come ci si muove, a partire da essi. “È vero, non ho ballato – dirà Willy alla fine dell’incontro di Romena – però spero di aver lasciato un buon ricordo e un sorriso”. Già, il sorriso. Il suo passo di danza migliore.

“Se il mondo si desse la mano”: 60 artisti ‘speciali’ ci insegnano la pace e l’amicizia

Uno spettacolo unico, protagonisti artisti con varie disabilità del centro “La tenda” di Firenze ma anche operatori, familiari e, a far da collante, la “Compagnia delle arti di Romena.
In un filmato sguardi e colori che testimoniano l’energia vissuta domenica pomeriggio.

La pace? A guardare loro è appena dietro l’angolo. Si può vedere, si può toccare, si può respirare.
Domenica scorsa al teatro Aurora di Scandicci è stato possibile compiere questa esperienza: grazie alla compagnia più improbabile, spensierata, eterogenea che si possa concepire.
E il miracolo è avvenuto: per due ore sessanta artisti provenienti da ogni diversità fisica e psichica ci hanno permesso di viaggiare sull’arca della creatività e dell’amicizia dimenticando almeno per un po’ il diluvio  universale di questo presente.

Come nella canzone di Sergio Endrigo che ha dato il titolo allo spettacolo, “Se il mondo si desse una mano” è stato un meraviglioso girotondo di fantasia cui hanno partecipato gli ospiti di vari centri diurni per disabili e di Rsa del centro “La tenda” di Firenze e di altre realtà vicine, ma anche i loro familiari e gli operatori sociali e sanitari delle strutture.
Il tutto tenuto insieme da un collante speciale, quello costituito dagli eterni ragazzi della Compagnia delle arti di Romena che da 24 anni continua la sua straordinaria opera di animazione e di amicizia in luoghi speciali, come case di riposo e centri disabili.

In questo filmato non parole, ma sguardi, per provare a catturare almeno un po’ di quella energia di vita che questi artisti hanno saputo distribuire, mostrando con la loro esplosiva tenerezza  che, quando si fanno le cose insieme, in amicizia, non può che scoppiare la pace.

Ermes Ronchi: 50 anni di fede e di poesia

Domenica scorsa padre Ermes Ronchi ha festeggiato 50 anni di sacerdozio.
E’ l’occasione giusta per esprimergli il nostro grazie per il suo esserci, per la poesia della sua vita e dei suoi scritti, per il suo modo aperto e libero di trasmetterci il Vangelo. Per essere capace, sempre, di esprimere il suo innamoramento per Gesù come un contagio di gioia, di vita, di bellezza.
Sarebbe bello poter restituire direttamente a Ermes la gratitudine per il suo dono di amicizia, per la vicinanza a tutti noi di Romena.
Ma anche in questa ricorrenza, il nostro amico ha giocato d’anticipo: è stato lui a trovare, come sempre, le parole, quelle belle, quelle aperte, quelle che fanno volare.
E allora, forse, il modo migliore per abbracciarlo e ringraziarlo è prendersi un po’ di tempo, mettersi in silenzio davanti a lui e ascoltare la più bella delle sue omelie, quella di domenica scorsa nel convento di Santa Maria del Cengio, dentro la quale Ernes ha messo tutta la sua vita…

Il vangelo, prima e sopra di tutto. Io comincio e ricomincio da lì.
Un magnifico vangelo dove una donna pagana mette in riga il Messia, l’illuminato.
Una donna giovane, con una figlia giovane. Non ci sono maschi, padri o mariti, nel racconto della famiglia, la cellula elementare che fa procedere la vita è questa: la linea madre-figlio. E il parto come uno scoppio di vita e di dolore, per sempre.
“Femmine un giorno e poi madri per sempre”, canta Fabrizio de Andrè.
Noi uomini un po’ ai margini, a imparare.

A questo gruppo vincitore, salvatore dell’umano, di madri-per-sempre appartiene la donna anonima di Tiro. Che tiene testa al rabbi straniero, dalle parole brucianti, che è arrivato preceduto dalla sua fama.
Una donna pagana “converte” Gesù, lo fa passare da semplice rabbino di Israele a pastore di tutto il dolore del mondo. Nessuno, neppure Gesù, esce indenne dall’incontro con il fuoco. E qui il fuoco risiede nella meravigliosa arroganza di un amore di madre. “Una scheggia di Dio infuocata è l’amore” (Cantico), una bruciatura divina, una scottatura, che libera Gesù dai residui del clericalismo.
Per favore liberate i preti dal loro clericalismo..

La madre di Tiro chiede “Fai una briciola di miracolo anche per noi, i cagnolini della terra”. Anche per me il Signore ha fatto briciole di miracolo. E quante volte.
Possiamo tutti ricordare di avere trovato nella vita bocconi di pane, quando pensavamo di non farcela più. È passato qualcuno sui nostri sentieri, ha lasciato cadere dietro di sé briciole di vita, di luce, bontà, bellezza…. Forse era un amico, forse un angelo, o un amore, o un familiare. Oppure un maestro.
Oggi sento il bisogno di ringraziare i miei maestri: p. Vannucci, sorella Maria, p. Turoldo, Davide Montagna, i veri maestri non sono quelli che danno ulteriori regole, ma quelli che regalano nuovi orizzonti. Da loro non ho ricevuto regole di navigazione nel mare della vita, ma la passione per navigare avanti.
I veri maestri non fissano ulteriori paletti, ma danno ulteriori ali…le rafforzano, allungano, pettinano, perché siano potenti, per andare più veloci e più lontano. A rincorrere i nostri sogni. Avevo le ali, ho rincorso i sogni.
Che avevano nome: comunità, vangelo vivo, poveri, Dio, poesia.

Sono passati 50 anni. E siamo ancora qui. Anche i sogni sono ancora gli stessi, sono quelli che non mentono, Vale ciò che dura, dura ciò che vale.
Perché sono ancora prete, perché vado dietro a Lui, al Nazareno, a 76 anni, e non mi sono stancato, o arreso? Perché ho avuto la vita comoda o facile, perché è andato tutto liscio?
No, ma perché ho avuto le mie tempeste e non sono scappato; ho preso in faccia il vento, ho guardato dritto negli occhi le mie paure, e le mie debolezze; ho molto sbagliato, e quando mi pareva di affondare, ho gridato, come Pietro che affonda nelle acque del lago in burrasca, ho allungato la mano.
E le mie ferite, le ferite che mi sono anche inferto da solo, Dio le ha attraversate con una carezza. E mi ha detto: ci sono qua io, non temere. Quante volte siamo stati tirati fuori, da un principio di affogamento, dalle acque di un fallimento, dello scoraggiamento.

Perché sono ancora qui? Perché incontrare Cristo è stato l’affare migliore della mia vita, in lui sono tutte le mie sorgenti: la mia vita è stata bellissima, ho trovato le sorgenti del grande fiume, e posso solo ringraziare.

Consentitemi infine una confidenza. In mia difesa! A Parigi ho incontrato un altro maestro d’ali: il gesuita Michel de Certeau. Storico, antropologo, esperto di mistica, scrittore di libri che hanno fatto epoca, intelligenza abissale, con cui ho seguito corsi e seminari all’università Paris IX. Quando l’hanno chiamato a insegnare a Los Angeles, mi ha salutato così: “Tu devi fare teologia poetica. La tua missione nella Chiesa è di fare teologia con il linguaggio della poesia”.
Mi sono fidato. Gli ho creduto, ho ubbidito alla Parola e alla Bellezza. Mi ha confermato nella passione di navigare per il mare infinito della Parola, meditata, scritta, annunciata.
Mi sento servo, ministro al servizio della Parola: è la passione, è il richiamo, la fonte, la roccia, il nido della mia vita. Annunciare la Parola, scrivere della Parola, tradurla nel linguaggio di oggi e nella bellezza, sono le pietre miliari del mio cammino quotidiano.

Pensate che bello se invece del voto di obbedienza ci avessero fatto fare voto di navigazione, di libertà.
Quanto più forte e bella e luminosa la chiesa, se ci avessero fatto fare voto di vastità non solo di castità. Di avere il cuore vasto, grande, spazioso, ampio, dove ci sia posto per Dio, i fratelli, madre terra. il grido dei poveri.

Mi chiedono: cosa ricordi di più di questi 50 anni?
Non sono calici e messali, liturgie a migliaia, ma sono volti a migliaia, una moltiplicazione di volti. Una folla, come i 5000 dei racconti di moltiplicazione di pani e pesci. Li ho avuti e li ho amati, i miei 5000, li ho patiti e anche goduti. Erano vangelo fra le mani!
Voi farete cose ancora più grandi, ha detto Gesù a tutti noi. Io ho sfamato 5000, voi ne sfamerete 10.000. Ho predicato per 3 anni su una striscia di terra di 70 km per 30. Voi avete davanti il mondo, per decine d’anni.

Ricordo liturgie bellissime: ho celebrato messa al sorgere del sole sulle dune del Deserto dei Gobi in Mongolia, in una baracca in Amazzonia, su di un barcone turco nel cuore dell’Egeo tra Patmos e Smirne; bello, ma mai quanto la liturgia santa di volti, di abbracci, di occhi, quando ridevano, quando piangevano, quando ti sembrava di farvi naufragio dentro, o ti inchiodavano con domande cui non potevi rispondere.

La cosa più bella del mondo? La gente. Le persone! Sono loro i gioielli più preziosi del tesoro di Dio.
La mia lettera siete voi, scrive Paolo ai Corinzi (2Cor 3,2-3) Non sono le decine di libri che ho scritto; il mio libro siete voi.
Non sono le centinaia di discorsi fatti a giro, il mio discorso siete voi.
La mia lettera siete voi, lettera di Cristo indirizzata a me, scritta per me non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole di carne di cuori umani.

Ho letto parole di Dio nelle storie di tanti di voi che siete qui. Ho ascoltato da voi le parole che fanno vivere.
E di questo ringrazio innanzitutto la mia comunità che mi supporta, e si prende cura di me, e alimenta e risveglia le sorgenti.
Ringrazio gli amici e le amiche che mi hanno voluto bene, per la gioia e l’amore regalati: prima benedizione di Dio.
Ringrazio quelli che mi hanno evangelizzato, come Gesù a Tiro e Sidone, mi hanno raddrizzato, inchiodato alle mie responsabilità.
Gli amici e le amiche della casa dei sentieri, miei maestri di cammino e di cura per madre Terra, il gruppo Talita Kum, miei maestri d’ali. Prima a Milano e poi qui.

La mia lettera siete voi, lettera di Dio scritta con l’inchiostro delle lacrime. Indelebile come l’amore. La mia bibbia siete voi. In cui ho visto le lacrime diventare arcobaleni!
Siete la benedizione che Dio ha fatto scendere per me
Adesso infine prego il Signore che faccia scendere da questo cielo senza nuvole, un po’ di grandezza di cuore, un po’ d’azzurro, su di me, su di noi, l’azzurro che non mente, l’azzurro di cielo che non imbroglia, faccia scendere libertà e vastità nella mente, nel cuore, nell’anima
Una benedizione sul nostro male di vivere, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sulle nuvole oscure, sul nostro piccolo o grande drago rosso che non vincerà, come ci racconta l’Apocalisse.
Perché la bellezza è più forte della violenza
La tenerezza di Dio è più forte della violenza del drago e della storia.

Signore, ti dico per il passato: grazie, per il futuro: sì. Come tu vorrai. Solo fammi essere questo: amico del mondo, amico della vita, amico del genere umano. Amante della tua Parola.
Vuoi andartene? Come Pietro anch’io ti dico: “ma Signore, ma da chi vuoi che vada? Tu solo hai parole che fanno viva, finalmente, la vita”.

Un piccolo aneddoto: 50 anni fa, anzi 53 anni fa, mio padre piantava una vigna. Voleva che producesse il vino nuovo per la mia prima messa.
Mio fratello ha continuato a coltivare quella vigna e il vino di questa messa oggi, a Santa Maria, è ancora il vino di quelle viti piantate da mio padre 53 anni fa. Di questa messa, e anche di una messa con il papa e i cardinali, e di tutte le messe della nostra comunità. Perché è buono!
Quindi: grassie pari, grassie fradi!

Ermes Ronchi